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JOAN MIRO' (1893 - 1983)
La casa della palma

La casa della palma

Particolare

"La casa della palma" è stata eseguita da Mirò nel 1918. (Probabilmente è una casa spagnola della Catalogna). Appartiene ad un periodo detto "particolarista". Lo stesso Mirò, in una lettera a Ricart del 16 luglio 1918, affermava: "Al momento, quello che mi interessa di più è la calligrafia di un albero o di un tetto, foglia per foglia, ramo per ramo, filo d'erba per filo d'erba, tegola per tegola. Ciò non significa che questi paesaggi non finiranno per essere rubusti o insensatamente sintetici. Staremo a vedere".

"Art dossier" della casa editrice Giunti. Si tratta di una monografia su Mirò a cura di Robert Lubar e Christopher Green stampata nel luglio 1996 - ISBN 88-09-175-8.

Joan Mirò

Pittore, ceramista, disegnatore, incisore e scultore spagnolo nato a Barcellona nel 1893 e morto a Palma de Mallorca en il 25 dicembre del 1983. Frequentò la Escola de Belles Arts di Barcellona e iniziò la sua fruttifera attività con E. Ricart y Josep Llorens Artigas, ceramista, con cui collaborò intensamente a partire dal 1944. Nel 1921 E. Hemingway acquistò il suo famoso dipinto "La masía" (la fattoria), dipinta nel 1920. A Parigi nel 1919 conobbe Picasso, Max Jacob e i membri del gruppo Dadá. Nel 1924 aderì al gruppo surrealista partecipando alle sue esposizioni evolvendo e maturando il suo stile. Miró disegnò di memoria, fantasia, e l'irrazionale per creare opere d'arte rispecchianti la poetica surrealista. Queste visioni sognate, come "il carnevale di Arlecchino" o "Interno olandese", hanno spesso una qualità whimsical o umoristica, contenendo immagini di forme animali playfully distorte, forme organiche contorte, e odd costruzioni geometriche. Le forme dei suoi dipinti sono organizzate contro un fondo neutro e piatto e sono dipinte con una limitata gamma di colori brillanti, specialmente il blu, rosso, giallo, verde, e nero. Amorfe e amebiche forme alternate a nette linee, spots, e curlicues, tutte posizionate sulla tela con apparente nonchalance. Miró produsse più tardi molto generalizzate, eterei lavori nei quali le sue forme organiche e le figure sono ridotte a macchie astratte, linee, e esplosioni di colore. Miró sperimentò la sua arte anche in una vasta gamma di altre tecniche: litografia, acquarello, pastello, collage, e pittura su rame e masonite. Sono particolarmente importanti le sue sculture di ceramica, in particolare le due grandi ceramiche murali per il palazzo dell'UNESCO a Paris (Muro della Luna e del Sole, 1957-59).

Dopo il completo insuccesso della prima mostra personale a Parigi, tra l’estate del 1921 e l’inverno successivo Joan Miró lavora ininterrottamente a un’unica opera, abbozzata già nel ‘20, La fattoria. Questa tela di grandi dimensioni, che Ernest Hemingway acquista, dopo aver fatto una colletta tra tutti gli amici pur di soddisfare la cifra richiesta, è un quadro emblematico, cui l’artista stesso fin dall’inizio attribuisce grande importanza, quasi fosse la metafora dell’ansiosa ricerca della verità e della sua esistenza attraverso la pittura. L’intervallo di tempo compreso tra il ‘21 e il ‘22 è il momento in cui Miró, che ormai trascorre l’inverno a Parigi e l’estate in Catalogna, si avvia a rompere con il passato, superando l’esigenza di una rappresentazione letterale, oggettiva, mimeticamente realistica per incamminarsi progressivamente verso una concezione della realtà inseparabile dalla soggettività della visione interiore. Si fa strada la possibilità di recidere i legami che lo tengono ancorato alla tesi della pittura come strumento di indagine analitica della realtà fenomenica. Miró comincia a intravedere la possibilità di andare oltre, di superare l’apparenza. Stilisticamente La fattoria è prossima a opere di poco precedenti: Orto con asino, La casa della palma, entrambe del 1918, Mont-roig: La chiesa e il paese e Vigneti e uliveti sotto la pioggia del ‘19, ma preannuncia Terra arata del 1923-24, che segna lo scarto definitivo nella conquista della libertà del linguaggio, il momento in cui l’antica tradizione catalana e le soluzioni innovative offerte dalle esperienze fauve e cubista si uniscono alla volontà di trasfigurare la realtà attraverso la forza incommensurabile dell’immaginazione.

Loredana Rea, Curatore e storico dell’arte

 

L'ambiente familiare

Con un padre orefice e orologiaio e un nonno fabbro, per molto tempo Joan Mirò equipara il confezionamento dello stile pittorico non tanto all'ispirata esecuzione di una musica, questo avverrà più tardi, quanto alla faticosa, dura lavorazione dei metalli: fusione, tornitura, battitura, ecc. Altro che invertebrato, lui è stato il ragazzo che si esercitava a disegnare oggetti dopo averli solo tastati e non guardati. Basta osservare i paesaggi e i ritratti che occupano la prima fase della sua opera per scorgervi un occhio innamorato del romanico catalano, dei ferri battuti per i cancelli e i balconi di Barcellona, delle severe decorazioni bizantine, di un cubismo inteso come disciplina di lucidi congegni visivi, e sulla composizione di intarsi, incastri, intrecci policromi, per una lucida stilizzazione che non lascia nulla ai territori dell'invisibile, del buio, quasi ci si trovasse sempre sotto un sole a picco che non fa ombre. Così uno guarda i ritratti di Ricart e di Juanita Obrador, un autoritratto (che apparteneva a Picasso), i nudi in piedi allo specchio, La Casa della palma, gli uliveti di Terragona, le nature morte con tavolino, la lepre, il pesce, il gallo, l'orcio, e pensa: ecco un metallo lavico che colando si è raffreddato e indurito nelle forme che gli sono state preparate. Insomma figure che più che dipinte diresti smaltate, sbalzate, forgiate.

 

Si ringrazia Guido Tonello per la segnalazione

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