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1.3. Le Ore canoniche

 

Prima che nascessero, fra i secoli XIII/XIV, le classi operaie e le prime corporazioni di lavoratori con i primi orari di lavoro; prima ancora che le campane del comune iniziassero a dare i segnali di apertura e chiusura delle porte e di inizio e fine delle attività amministrative, il monaco aveva la giornata controllata dalla Regola. Vi erano tempi precisi per: pregare, lavorare, leggere, mangiare, dormire, lavarsi, rasarsi e perfino per compiere i propri bisogni corporali. L’ora et labora non lasciava spazio alla pigrizia. Iniziò anche a prendere consistenza – cosa impensabile prima di allora - il concetto di ‘essere in ritardo’. Il monaco che giungeva dopo il 'Gloria ' del primo salmo alla preghiera dell’Ufficio divino, per esempio, era punito severamente e, se recidivo, la pena poteva estendersi fino all’espulsione dalla comunità. Fu san Benedetto da Norcia, nel secolo VI, che per primo stabilì tempi ben precisi per regolare la vita della comunità monastica. La puntualità per san Benedetto fu importante a tal punto che esortò i monaci a lasciare qualsiasi cosa essi stessero facendo non appena avessero sentito il primo suono della chiamata alla preghiera e, per essere certo che l’horarium fosse seguito con scrupolo, incaricò l’abate stesso, o un monaco zelante di sua fiducia, a prestare attenzione al trascorrere del tempo. 

 

Secondo la consuetudine apostolica ed ebraica i monaci pregavano a determinate ore del giorno e della notte, e queste ore finirono con l’essere considerate le più sante fra tutte le ore del giorno. Presero forma così le cosiddette ‘Ore canoniche’ (da canon, regola), che distinguevano i tempi della giornata monastica, dedicati alla recita o al canto di un determinato numero di salmi e inni, dagli altri momenti della vita comunitaria. Questi tempi presero il nome delle ore temporali o del periodo in cui le preghiere ad esse collegate erano cantate: ‘Vigilia’ o ‘Notturno’ (a mezzanotte), ‘Matutinum’ (all’alba), ‘Prima’ (all’inizio della prima ora del giorno, cioè al sorgere del Sole), ‘Tertia’ (alla terza ora del giorno, cioè a metà mattina), ‘Sexta’ (alla sesta ora del giorno, cioè vicino a mezzogiorno), ‘Nona’ (alla nona ora della giornata, circa metà pomeriggio), i ‘Vespri’ (alla dodicesima ora, cioè al tramonto) e ‘Compieta’ o ‘Completorium’ (all’inizio della notte ovvero alla fine del crepuscolo). 

 

L’Ufficio divino si divideva in: Ufficio notturno, composto in origine da Vespri, Compieta, Vigilia (Notturno) e Mattutino, e Ufficio diurno composto da Prima, Terza, Sesta e Nona. Le preghiere dell’Ufficio notturno erano chiamate ‘Ore maggiori’ per la loro maggiore estensione, mentre le tre diurne principali (Terza Sesta e Nona) ‘Ore minori’. 

 

le ore canoniche, quindi, non erano un vero e proprio sistema orario, ma semplicemente tempi di preghiera distribuiti lungo l'arco dell'intera giornata e della notte. Con il tempo, però, si adottarono delle particolari suddivisioni giornaliere sull'impronta delle tempistiche delle Ore canoniche e divennero sistemi orari a tutti gli effetti.

 

I tempi di questa continua ed assidua invocazione dovevano essere regolati con saggezza, e gli orologi solari erano lo strumento adatto allo scopo. Così, negli orologi solari medievali, si conservò quasi sempre solo un piccolo gruppo di linee orarie: quelle che determinavano i tempi della preghiera delle Ore canoniche, tralasciando spesso tutte le altre.

Buona parte degli orologi solari medievali aveva, quindi, una divisione quadripartita dello spazio incluso nei 180 gradi che componevano il semicerchio entro cui, solitamente, erano racchiuse le sue linee orarie. Una linea ogni 45 gradi, ovvero ogni tre ore temporali medievali, segnava la fine della terza ora, della sesta e della nona, alle quali erano abbinati gli Uffici di Terza, Sesta e Nona. Le due linee orizzontali, che definivano geometricamente il diametro del semicerchio, si riferivano ai tempi della recita di Prima, che si recitava a solis ortu, e dei Vespri a solis occasu quando anche l’ombra dello stilo era praticamente orizzontale.

 

Nel diagramma sottostante vediamo la posizione delle Ore canoniche del giorno e della notte prima di san Benedetto.

 

Già dal secolo VI le Ore canoniche iniziarono a cambiare la loro posizione sull’orologio, inseguendo i tempi della liturgia e del calendario. È bene , dunque, considerare le Ore canoniche in modo differente: non più come ore del giorno vere e proprie durante le quali sono recitate determinate preghiere, ma come tempi mobili.

Il continuo spostamento, iniziato già con san Benedetto nel secolo VI, e protrattosi nei secoli successivi, ha prodotto, oggi, una certa confusione sui tempi della recita delle Ore canoniche. Tuttavia è un fatto ormai certo e noto - fin dagli studi condotti alla fine dell’Ottocento da Gustav Bilfinger - che già nel secolo XII le Ore canoniche non erano più decisamente al loro posto originale. La differenza fra le ore intese come particella del giorno e le Ore canoniche, intese come tempo liturgico, fu definita da Dohrn-van Rossum con due locuzioni precise e chiare: «hora quoad tempus» e «hora quoad officium». Quindi, benché si continui ancora oggi a chiamarle Ore, si deve intendere quell’ora nel senso di ‘tempo’, un po’ come si usa dire «ora di pranzo» e «ora di cena»: benché i tempi di pranzo e cena differiscono notevolmente per consuetudini personali e locali.

 

Nel diagramma sottostante vediamo lo spostamento della recita del Notturno e del Matutino all'epoca di san Benedetto.

 

Nel diagramma sottostante vediamo la posizione delle Ore canoniche del giorno secondo Giovanni Beleth, alla fine del secolo XII.

 

Dal XIII fino al XV secolo la recita di diverse Ore si sposta ulteriormente stabilendo definitivamente la celebrazione di Nona allo scadere della sesta ora del giorno e i Vespri alla nona ora.

 

Nel diagramma sottostante vediamo la posizione delle Ore canoniche del giorno secondo la descrizione che ne dà nel Trecento Dante Alighieri nel suo Convivio.

 

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