top of page

1.2. I sistemi orari

 

I sistemi orari del passato, dall’antichità al Medio Evo, si dividevano principalmente in due grandi categorie: quello con le ore ‘ineguali’ e quello con le ore ‘uguali’. I sistemi orari con le ore ineguali si dividevano in due tipi fondamentali: quello ad ore temporali e quello ad ore planetarie. I sistemi orari basati sulle ore uguali erano di quattro tipi: due con inizio fisso del computo (a meridie e a media nocte) e due con inizio mobile (ab occasu e ab ortu).

Il motore che permetteva la misurazione del tempo era l’apparente moto del Sole attorno alla Terra e l’apparente movimento di due cerchi massimi del cielo: l’Equatore celeste e l’Eclittica. Il movimento regolare dell’Equatore celeste, con le sue ventiquattro porzioni scandite in archi di 15° ognuna, generava la misura delle ore uguali, mentre il cerchio massimo dell’Eclittica, su cui giacciono il piano dell’apparente orbita solare e la fascia dei Segni dello zodiaco, presiedeva al trascorrere delle ore planetarie.

 

 

Le ore ineguali

 

Le ore ‘ineguali’ erano così chiamate perché la loro durata non era costante, ma variabile ogni giorno. Esse erano di due tipi: ‘temporali’ e ‘planetarie’. Entrambe le serie di ore si componevano di due gruppi di dodici ore divisi fra il giorno e la notte. Sebbene molto simili fra loro, avevano caratteristiche distintive ben precise. Vediamole nel dettaglio.

 

 

1   Le ore ‘temporali’ 

 

Il sistema orario comunemente usato in età Romana e nella Grecia antica, così come nel medioevo - in pratica l’unico nella vita comune - era quello delle ore ‘temporali’. Questo sistema, assai diverso da quello che utilizziamo oggi, era il frutto di una lunga tradizione di osservazioni astronomiche e di contatti culturali fra antiche popolazioni mesopotamiche e mediterranee. 

L’arco diurno che andava dalla levata del Sole fino al tramonto era diviso in dodici parti uguali, e così anche l’arco notturno. In questo modo si ottenevano dodici ore di giorno e dodici ore di notte, a prescindere dall’ampiezza di questi due spazi temporali. Al mattino, con il Sole all’orizzonte, iniziava la prima ora del giorno; a metà giornata (mezzogiorno) terminava la sesta ora ed al tramonto finiva la dodicesima ora. Con il tramonto aveva inizio la prima ora della notte; a metà della nottata (mezzanotte) terminava la sesta ora notturna e la nuova levata poneva fine alla dodicesima ora della notte.

Per distinguere la durata delle ore temporali secondo il periodo dell’anno, i latini usavano diverse locuzioni: horae brumales o hibernae (al solstizio d’inverno), horae aequinoctiales (agli equinozi) e horae aestivae o solstitiales (al solstizio d’estate).

Siccome variavano da un giorno all’altro, da una stagione ad un’altra, a causa dell’allungarsi o dell’accorciarsi delle giornate, furono dette ‘temporali’ (da tempora = stagioni) e poiché le ore temporali erano citate nei Vangeli, furono dette anche ‘ore antiche’, ‘bibliche’ o ‘giudaiche’. 

 

2.  Le ore ‘planetarie’

 

Le testimonianze relative al sistema di computo delle ore planetarie sono molto antiche e sicuramente affondano le loro radici nell’astronomia babilonese ed egizia. Questo particolarissimo metodo di computo temporale non fu mai applicato per scopi civili (non conosciamo un solo orologio solare greco-romano o medievale che ne riporti le linee), tuttavia esistono numerose testimonianze letterarie sull’uso e sul calcolo di questo tipo di ora. Era questo un sistema orario usato solo dagli astrologi o da chi si serviva dell’astrologia come ‘scienza’ fondamentale per la propria professione (es. i medici), perché il suo computo era molto laborioso e rigoroso.

Le ore planetarie furono chiamate così solo dal Rinascimento in poi; esse prendevano il loro nome dall’antica usanza di considerare ogni ora del giorno e della notte sotto il dominio e l’influsso di uno dei sette pianeti. Il pianeta che dominava la prima ora di ogni giorno dava il suo nome al giorno stesso. Il dominio dei pianeti si susseguiva ogni ora nell’ordine classico in cui la tradizione raccolta da Tolomeo li aveva disposti secondo la loro presunta distanza dalla Terra. Così la prima ora del lunedì era sotto il dominio della Luna, la prima ora del martedì era sotto la protezione di Marte e così via fino alla prima ora del sabato governata da Saturno e alla prima ora della domenica, protetta dal Sole. 

 

Fra i vari astronomi del passato c’era chi sosteneva che le ore planetarie fossero le stesse ore temporali abbinate ai rispettivi domini dei pianeti e chi, invece, assicurava che le ore temporali nulla avessero in comune con le ore planetarie se non il loro medesimo numero (sia le ore temporali, sia le ore planetarie erano, infatti, dodici di giorno e dodici di notte). Entrambi fecero uso degli stessi termini, ora per descrivere un sistema, ora per descriverne l’altro. Per uscire dalla giungla di sinonimi usati per appoggiare ora l’una ora l’altra teoria, userò solo due termini: in pratica continuerò a  chiamare ‘ora temporale’ la dodicesima parte dell’arco diurno o notturno, mentre mi servirò degli attributi di ‘planetaria’ o ‘ineguale’ per l’ora misurata con il diverso metodo che andrò qui a descrivere. 

 

La teoria si basava sulla semplice constatazione che nel cielo esistevano due circoli massimi che  potevano gestire la misurazione del tempo: l’Equatore celeste, o Equinoziale, e l’Eclittica. La suddivisione dell’Equatore celeste in ventiquattro parti di 15 gradi l’una permetteva di misurare le ore uguali ovvero le equinoziali: a qualsiasi latitudine, infatti, due punti sull’equatore distanti fra loro 15 gradi, impiegano sempre lo stesso tempo a sorgere o a tramontare consecutivamente sull’orizzonte. Ne consegue che il tempo misurato con le ventiquattro partizioni di questo cerchio massimo è un tempo costante, ed ogni ora è identica tanto alla successiva quanto alla precedente.

 

Gli astrologi ‘rigorosi’ che usavano le ore planetarie preferirono, invece, usare il cerchio dell’Eclittica, perché i pianeti che sovrintendevano alle vicissitudini umane si muovevano, così come il Sole, proprio lungo quel cerchio, all’interno della fascia zodiacale. Essendo l’Eclittica un cerchio obliquo accade che a volte i Segni sorgano inclinati, impiegando meno tempo, e altre volte sorgano eretti, impiegando più tempo; per questo motivo le ore così misurate risultano sempre differenti le une dalle altre sia di giorno sia di notte.

 

 

 

Le ore uguali

 

L’ora uguale corrisponde ad un ventiquattresimo dell’intero nychthemeron, costantemente identica a tutte le altre per tutto l’arco dell’anno; la sua durata corrisponde al tempo impiegato da un arco di 15° di Equatore celeste per passare sopra l’orizzonte o per transitare su un arco di meridiano qualsiasi.  I sistemi orari che adottarono questa frazione temporale sono quattro: a media nocte, a meridie, ab occasu e ab ortu. Questi quattro sistemi si possono dividere ulteriormente in due gruppi: quello con inizio fisso e quello con inizio mobile. Per inizio fisso si intende che il computo inizia sempre da un momento fisso e inalterabile ben preciso (la mezzanotte o il mezzogiorno), mentre per inizio mobile si intende che il computo ha inizio in un momento mobile del giorno (la levata o il tramonto del Sole). Al primo gruppo appartengono le ore equinoziali, quelle cioè, che furono usate dagli antichi Egizi, Greci e Romani per scopi prettamente giuridici, astronomici e geografici, e che poi, divennero sistema orario, nella seconda metà del secolo XIV. Al secondo gruppo appartengono le ore ab ortu e le ore ab occasu, divenute sistema orario nella seconda metà del Trecento.

 

 

1.   Le ore equinoziali

 

Le ore equinoziali erano già note nell'antico Egitto nel secolo XII a. C., poi in Grecia nel secolo IV a. C. e in seguito a Roma furono chiamate horae aequales o aequinoctiales. Ma sia presso gli Egizi, sia presso i Graci e i Romani queste ore non ebbero influenza nella vita di tutti i giorni.

Le ore equinoziali furono chiamate così perché era proprio all’Equinozio che le dodici frazioni orarie diurne avevano la medesima durata delle dodici frazioni orarie notturne. 

Nel secolo XIV le ore cosiddette ‘equinoziali’ comprendevano due tipi di ore: quelle a media nocte, cioè contate a partire dalla mezza notte, e quelle a meridie, cioè contate a partire dal mezzogiorno e dette anche ‘ore astronomiche’ perché erano principalmente usate dagli astronomi.

 

2.   Le ore ab occasu solis

 

Anche le ore ab occasu dividevano il Nychthemeron in ventiquattro parti. Si incominciava a contarle subito dopo il tramonto del Sole, così la prima ora della notte era anche la prima del giorno nuovo, e di seguito fino all’ultima (la ventiquattresima), quando il Sole raggiungeva nuovamente l’orizzonte occidentale.

A differenza delle ore equinoziali, l’inizio del computo delle ore ab occasu, come quelle ab ortu, che vedremo dopo, era mobile, ed a causa di ciò l’ora del mezzo giorno non era mai la stessa, ma variava con il variare dell’ampiezza del semiarco diurno. 

In una società soprattutto di carattere rurale, come poteva essere quella antica, le ore ab occasu possedevano la medesima dote delle ore temporali: in altre parole, permettevano di conoscere il tempo mancante al tramonto del Sole, quando ogni attività lavorativa cessava e si chiudevano le porte della città.

 

3.   Le ore ab ortu solis

 

Un altro metodo per misurare il tempo con ore uguali era quello che iniziava il suo computo dalla levata del Sole (ab ortu solis). Gli antichi ricordano che questo modo di misurare il giorno civile era in uso presso le popolazioni mesopotamiche e per questo le ore ab ortu si chiamano ancor oggi ‘ore babiloniche’. Le linee di queste ore non sono presenti né negli orologi solari d’epoca greco-romana né in quelli di epoca medievale.

Le ore babiloniche furono ufficialmente introdotte in Europa alla fine del secolo XIV come parte fondamentale del nuovo sistema orario di Norimberga, e dal Rinascimento in poi se ne tracciarono le linee su numerosi orologi solari, probabilmente più come curiosità che per vera utilità.  

bottom of page